La Ferrero è arrivata in Umbria
FERRERO di Alba: un patrimonio di cultura aziendale di assoluta eccellenza da diffondere in tutto il sistema imprenditoriale dell’Umbria
- LA PREMESSA. A tre mesi dal lancio del Progetto “Nocciola Italia”, promosso da Ferrero Halzelnut Company, è stato siglato il primo accordo di filiera dell’Umbria, con l’obiettivo di raggiungere entro il 2023 una superficie di 700 ettari di nuove piantagioni corilicole sul territorio regionale.
Non è questa una notizia come tante. La Ferrero di Alba è, infatti, dal 2018, la prima azienda italiana per reputazione a livello mondiale, oltre ad essere il primo marchio italiano a comparire nella graduatoria del “Reputation institute”, del settore “Food”. L’azienda entra, dunque, a pieno titolo, nella Top50 delle compagnie con la miglior reputazione in tutto il mondo. Ai vertici della classifica, insieme a lei, Rolex, Lego e Google. Rimanendo in ambito italiano, Ferrero è seguita da “Giorgio Armani Group”, Pirelli, Barilla e Lavazza. L’analisi effettuata si basa su oltre 170mila dati raccolti nel primo trimestre 2017 in 15 Paesi. Non è questo riconoscimento un premio come tanti. Per l’Italia tutta, da Alba è arrivata la prova provata di un modello di “fare impresa” di altissima qualità, da allargare possibilmente a tutta la realtà del Paese: il “family friendly”, cioè l’attenzione primaria ed insistente al “benessere” dei dipendenti, che non era solo la “fissazione” di un imprenditore “cattolico” che “portava in azienda i suoi valori religiosi” ma il modo di fare impresa migliore al mondo!
Le imprese dell’Umbria dovrebbero, pertanto, adeguarsi rapidamente ai modelli organizzativi ed agli standard operativi di tale azienda, così da fare uscire la regione da una crisi economica strisciante che l’attanaglia da ormai troppi anni. Non sono molte infatti, oggi, le imprese, come Umbra Cuscinetti e Elcom System che hanno raggiunto livelli di reputazione molto elevato..
- L’IMPRESA Ma modo di fare impresa della Ferrero resta un “unicum” in Italia dal dopoguerra ad oggi e non può essere qualificato solamente come “family friendly”, cioè amico delle esigenze della famiglia. Sarebbe una definizione inadeguata, perché Ferrero non tutelò solo l’equilibrio familiare legato alle esigenze della maternità e dell’educazione dei figli: Lui salvò un “mondo intero” di famiglie contadine, prendendolo per mano e portandolo, dalle macerie del dopoguerra alla contemporaneità, dalla miseria al benessere sempre più diffuso, senza traumi culturali, sociali ed umani.
Per capire ancora meglio la grandezza di Michele Ferrero basta vedere cosa è successo, invece, in tutte le realtà montane e collinari del Centro e del Sud Italia. Centinaia e centinaia di famiglie di mezzadri e di piccoli proprietari, a partire dalla metà degli anni Cinquanta abbandonarono l’agricoltura per cercare una dignità personale economica e sociale nelle fabbriche, che nascevano nelle vicine pianure, in fondo alle valli, dove nascevano anche, osannati come simbolo di progresso i nuovi quartieri dell’“edilizia popolare”. L’emigrazione interna dalle campagne alle città divenne fenomeno imponente. Ma dietro il trionfalismo di facciata dei partiti del “progresso” appariva sempre più evidente il lato oscuro della modernizzazione, un vero e proprio “genocidio culturale” del mondo rurale: distruzione dei dialetti, diffusione in tutte le classi sociali di uno stile di vita basato sul consumismo, fine del sacro e dei valori tradizionali: una rivoluzione antropologica non guidata dagli intellettuali, ma dalla televisione, il più penetrante e persuasivo strumento di massificazione culturale. E così in Italia, la massa dei piccoli contadini e dei mezzadri, che erano stati la vera vittima del fascismo, movimento della piccola borghesia urbana, marginalizzati ed umiliati, come classe sociale, venivano così definitivamente abbandonati a ceto sociale marginale anche dalle forze popolari socialiste e comuniste che, dopo una riforma agraria parziale ed inefficace, avevano sposato l’industrialismo massivo come via principale di sviluppo del Paese, mentre il movimento cattolico avrebbe gestito, per un quarantennio, l’agricoltura, ma in una prospettiva prevalentemente assistenziale che ne ha impedito, nelle regioni del Centro Sud, in particolare, una crescita reale.
Ferrero, quindi, da solo contro tutti: una ricetta fatta di saggezza e non di ideologia, che lo consegna, così, alla storia non solo come imprenditore abilissimo, ma anche “politico” autentico e di eccezionale valore.
Forse a Ferrero, in un immaginario Olimpo, peraltro molto ristretto, degli autentici interpreti del proprio tempo, può essere accostato l’unico intellettuale che descrisse, con una rara acutezza intellettuale, tale genocidio culturale e politico, ma per questo fu marginalizzato ed isolato, cioè Pier Paolo Pasolini.
Paolo Baronti
Luglio 2018
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